Renzi si scarica da ogni responsabilità
Forza Italia e PD si spartivano le mazzette del Mose di Venezia
35 mandati di arresto per tangenti milionarie. Nell'inchiesta coinvolti imprenditori, politicanti, magistrati, finanzieri. Ai domiciliari il sindaco di Venezia Orsoni (PD). Chiesto l'arresto per Galan, senatore di FI, accusati di essere a libro paga per un milione l'anno
Sono marce le fondamenta del capitalismo, dei suoi governi, istituzioni e partiti

A poche settimane dalla scoperta della nuova tangentopoli milanese targata EXPO, il 4 giugno la cloaca fetida delle tangenti in cui sguazza il sistema capitalistico italiano, le sue istituzioni e tutti i partiti politici che ne reggono le sorti in parlamento ha scavalcato anche le paratìe mobili del Mose e ha sommerso Venezia, presunto fiore all'occhiello del modello di governo locale del “centro-sinistra” dal oltre un ventennio.

Ondata di arresti
L'inchiesta avviata tre anni fa dai magistrati lagunari riguarda il vorticoso giro di mazzette ruotato intorno agli appalti per la costruzione del Mose che ha portato a 35 ordini di arresto, oltre 100 avvisi di garanzia e un sequestro di beni per circa 40 milioni ai danni di boss politici, funzionari pubblici, magistrati, imprenditori, manager, professionisti, consulenti, finanzieri, vecchi mariuoli e nuovi faccendieri tutti affiliati a una sorta cupola delle tangenti spartite attraverso un collaudato sistema di fondi neri, conti esteri e false fatturazioni che ruotava intorno alla colossale quanto dannosa e inutile opera pubblica, imposta contro la volontà popolare dai governi Berlusconi e Prodi, costata ben 5 miliardi di euro e che entro il 2017 avrebbe dovuto proteggere la città lagunare dalle acque alte al costo di 25 milioni all’anno per la manutenzione.
Dopo l'arresto del 28 febbraio 2013 dell'ex manager della Mantovani, Piergiorgio Baita (capofila del Consorzio Venezia Nuova e impresa di primo piano anche nelle opere dell'Expo 2015) e le manette a luglio dell'anno scorso all'ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, in carcere questa volta sono finiti fra gli altri il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni (PD), l'attuale assessore regionale alle infrastrutture, Renato Chisso (FI), il consigliere regionale del PD Giampiero Marchese, (accusato "quale candidato dal Consiglio regionale del veneto per il PD alle elezioni 2010 riceveva i contributi illeciti per 58 mila euro"); il generale in pensione della Gdf Emilio Spaziante, gli ex presidenti del Magistrato alle Acque (emanazione del Ministero dei lavori pubblici) Patrizio Cuccioletta (in carica dal 2008 al 2011) e il suo successore Maria Giovanna Piva, gli imprenditori Franco Morbiolo e Roberto Meneguzzo (fondatore, vicepresidente e amministratore delegato di Palladio Finanziaria a Vicenza, chiave di volta dei project financing ospedalieri, che nel 2011 aveva tentato di scalare Fonsai.
Tra le persone colpite dalla misura cautelare c’è anche (domiciliari) Alessandro Cicero, direttore editoriale de “Il Punto” la cui sede fu perquisita nel marzo del 2013 dalle Fiamme Gialle nell'ambito delle indagini inerenti la prima tranche dell'inchiesta. Nei guai anche Vincenzo Manganaro cui Cicero aveva ceduto il 50% delle quote dell’editoriale del settimanale.
Manette anche per Giovanni Artico (ex commissario straordinario per il recupero territoriale e ambientale di Porto Marghera e collaboratore di Renato Chisso), Stefano Boscolo “Bacheto” (titolare di una cooperativa di Chioggia specializzata in lavori subacquei), Maria Teresa Brotto (ex amministratrice della società ingegneristica Thetis, ora nel consorzio Venezia Nuova), Enzo Casarin (capo della segreteria di Chisso), Giuseppe Fasiol (funzionario regionale in Veneto Strade), A. M. (con incarichi anche nel consorzio Venezia Nuova), Federico Sutto (dipendente del 'Venezia Nuova'), Stefano Tomarelli (componente consiglio direttivo 'Venezia Nuova'). Ai domiciliari Nicola Falconi (direttore generale della Sitmar sub sc), Andrea Rismondo (rappresentante legale della Selc sc).
In mezzo alla cloaca rispuntano anche Lino Brentan: uomo del PDS-PD, ex amministratore delegato dell’Autostrada Padova-Venezia, già condannato per tangenti nell’estate 2012; Giuseppe Fasiol (braccio destro dell’ad di Veneto Strade, Silvano Vernizzi), Stefano Tomarelli del direttivo del Consorzio; Gianfranco Contadin detto Flavio, direttore tecnico della Nuova Coedmar; l’ex sindaco di Martellago Enzo Casarin, capo della segreteria di Chisso (già condannato per concussione); il direttore generale di Sitmarsub Sc e Bos.ca.srl Nicola Falconi; il legale rappresentante di Selc Sc Andrea Rismondo.
Molto clamore hanno suscitato anche i nomi dell'ex governatore berlusconiano del Veneto ed ex ministro Giancarlo Galan, deputato di Forza Italia, e quello dell'eurodeputata uscente Lia Sartori (FI) le cui richieste di autorizzazione all'arresto sono state inviate alle competenti commissioni parlamentari.

La spartizione delle tangenti fra PD e FI
Galan e Orsoni in particolare sono accusati di essere a libro paga del “cerchio magico” della laguna per un milione di euro all'anno. Orsoni è accusato di finanziamento illecito perché secondo i magistrati “con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, quale candidato sindaco del PD alle elezioni comunali di Venezia del 2010, riceveva i contributi illeciti... consapevole del loro illegittimo stanziamento da parte del Consorzio Venezia Nuova”: si parla 110 mila euro al Comitato elettorale del candidato sindaco e 450 mila ricevuti in contanti “di cui 50 mila procurati dal Baita quale amministratore delegato della Mantovani che il Sutto (dipendente del Consorzio Venezia Nuova, società coinvolta nella realizzazione del Mose, ndr) e Mazzacurati (allora presidente di Cvn, ndr) consegnavano personalmente in contanti a Orsoni, in assenza di deliberazione dell'organo sociale competente e della regolare iscrizione in bilancio”. Mentre al “doge” berlusconiano Galan, accusato di corruzione, veniva garantito “uno stipendio di un milione di euro l’anno più altri due milioni una tantum per le autorizzazioni... 900 mila euro tra il 2007 e il 2008 per il rilascio nell'adunanza della commissione di salvaguardia del 20 gennaio 2004 del parere favorevole e vincolante sul progetto definitivo del sistema Mose, 900 mila euro tra 2006 e 2007 per il rilascio (...) del parere favorevole della commissione Via della regione Veneto sui progetti delle scogliere alle bocche di porto di Malamocco e Chioggia".
Mezzo milione di euro in tangenti li ha incassati anche Marco Milanese, ex finanziere, consigliere politico di Giulio Tremonti, deputato del Pdl, già indagato dalla procura di Napoli, che nel 2011 ne chiese l’arresto per il suo coinvolgimento nell'inchiesta P4. Milanese per ora risulta solo indagato in quanto il Gip non ha firmato la richiesta di arresto avanzata nei suoi confronti dai Pm, anche se, come si legge nell'ordinanza, Milanese ha ricevuto dal presidente del Consorzio Venezia Nuova la somma di 500 mila euro “al fine di influire sulla concessione di finanziamenti del Mose” dirottando buona parte dei lauti stanziamenti del Cipe per le grandi opere verso il Mose. Le dazioni risalirebbero tutte negli anni tra il 2005 e il 2008 e poi ancora nel 2012. Tremonti non ne sapeva nulla?
E intanto è stato chiamato in causa anche Gianni Letta, l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio e consigliere strettissimo e fidatissimo di Berlusconi, che secondo Baita avrebbe svolto un ruolo di “contatto istituzionale” per il Consorzio.

Le origini dell'inchiesta
L’inchiesta parte circa 3 anni fa da un filone dell’indagine per mazzette relative ad opere autostradali lungo la A4 riguardanti una società presieduta da Lino Brentan. Patteggiata la pena per quella vicenda, Brentan oggi risulta tra gli arrestati ai domiciliari. Da quel filone la Guardia di Finanza, coordinata dalla Procura di Venezia, è giunta ai fondi neri creati da Baita, all’epoca dei fatti ai vertici della Mantovani, la società leader nella realizzazione del Mose e all’interno del concessionario unico Consorzio Venezia Nuova (Cav). Gli inquirenti sono riusciti poi a risalire agli allora vertici della Cav, con l’arresto (ai domiciliari) del presidente Mazzacurati e di altre persone.

Un esercito di indagati
Tutti gli arrestati, devono rispondere, a vario titolo, dei reati di corruzione, finanziamento illecito ai partiti, frode fiscale. A loro si aggiunge un “esercito” di circa 100 indagati: funzionari pubblici, addetti alle segreterie dei politici, imprenditori grandi e piccoli, dipendenti di aziende e coop che accedevano alla spartizione degli appalti del Mose accettando il gioco dei fondi neri e delle fatture gonfiate, per pagare politici di “centro-destra” e “centro-sinistra”.
Un sistema tangentizio ben collaudato che, secondo i Pm del pool della Dda di Venezia: Stefano Ancillotto, Stefano Buccini e Paola Tonini, era governato dal “grande burattinaio” Mazzacurati coadiuvato da una banda di amministratori e funzionari dello Stato tutti corrotti a suon di tangenti, regali e favori come ad esempio i 400 mila euro versati in un conto estero ai dirigenti del magistrato delle acque Cuccioletta e Piva per ammorbidire i controlli; più, per quanto riguarda Cuccioletta, 500mila euro di “buonuscita” al momento di passare le consegne alla Piva; e poi ancora l’assunzione della figlia e del fratello in due società controllate dal Consorzio e altre regalie varie quali: voli aerei per tutta la famiglia, alloggi di lusso a Venezia, Cortina e altre località per le vacanze.

L'interesse pubblico asservito al crimine
Uno scandalo nazionale denunciato da anni dalla popolazione e dalla coraggiosa lotta del movimento No Mose ma reso possibile grazie a una larga intesa politico-criminale con complicità e coperture ai più alti livelli della pubblica amministrazione e dei massimi organismi di controllo dello Stato. Ciascuno dei 135 indagati: “per anni e anni - scrive il Gip nell'ordinanza di arresto - hanno asservito totalmente l'ufficio pubblico che avrebbero dovuto tutelare agli interessi del gruppo economico criminale, lucrando una serie impressionate di benefici personali di svariato genere".
A Spaziante, all’epoca a capo delle fiamme gialle dell’Italia centrale, per le sue soffiate inerenti il prosieguo delle indagini, sono stati promessi 2,5 milioni di euro da dividere con Milanese, e il finanziere vicentino Roberto Meneguzzo. Ad un altro indagato eccellente, il magistrato della Corte dei Conti Vittorio Giuseppone, è stato stato garantito uno 'stipendio' annuo di 3-400mila euro, "per compiere atti contrari ai suoi doveri".
Nelle 711 pagine di ordinanza si sottolinea che solo la “Mantovani” ha creato fondi neri per 20 milioni di euro. In questa terza fase dell'inchiesta, i magistrati hanno scoperto altri 25 milioni di false fatture. I Pm hanno inviato una parte degli atti dell'inchiesta anche al Tribunale dei ministri perché valutassero l’incriminazione dell’ex ministro Altero Matteoli, attuale senatore di FI. Sulla base della deposizione di Mazzacurati, i magistrati ipotizzano l’“induzione indebita” da parte dell’allora ministro prima dell’Ambiente e poi delle Infrastrutture nei lavori di bonifica a Porto Marghera.

Invischiati anche i servizi segreti
Il sistema poteva contare anche su informazioni riservate relative alle indagini in quanto la cupola di Orsoni e Galan aveva messo a libro paga “Un gruppo criminoso che ha abdicato alla propria funzione pubblica, completamente asservito al privato” di cui facevano parte insieme a Spaziante anche un vicequestore della polizia di Stato ed ex appartenenti ai servizi segreti che passavano ai boss politici e del Consorzio informazioni inerenti gli sviluppi delle indagini.
Insomma una magiatoia di Stato senza fine: “peggio di una Tangentopoli”, come l'ha definita il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio, a cui partecipano sia la destra che la “sinistra” del regime neofascista che conferma come da Milano-Expo fino al Mose e a altre decine di inchieste i fondi neri, le tangenti e il finanziamento illecito ai partiti: “sono stati utilizzati per campagne elettorali e, in parte, anche per uso personale da parte di alcuni esponenti politici. Hanno ricevuto elargizioni illegali persone di entrambi gli schieramenti”. Non a caso l’ex comandante della Gdf del Veneto Bruno Buratti ha spiegato che “il sistema che ha prodotto 25 milioni di euro di fondi neri” e di questi si è “accertata la destinazione” risalendo a responsabilità soggettive.

Le responsabilità del governo
Tutto ciò dimostra che tangentopoli non è mai finita e di fronte al dilagare della corruzione il Berlusconi democristiano Renzi si comporta esattamente come i suoi predecessori a Palazzo Chigi cercando di scrollarsi di dosso ogni repsonsabilità sia come segretario del PD che come presidente del Consiglio. Nella primo caso Renzi ha vestito i panni del verginello e, facendo finta di cascare dalle nuvole, ha cercato di minimizzare il grave coinvolgimento del PD addossando tutte le colpe alla solite “poche mele marce” dichiarando, con un elogio all'ovvietà, che “Se c’è nel PD chi ruba va a casa a calci nel sedere. Non c’è PD o non PD, ci sono ladri e non ladri. Non esiste il giochino noi e loro”. Mentre in veste di capo del governo ha assicurato i poteri al super commissario anti-corruzione Raffaele Cantone e ha annunciato il Daspo per i dirigenti che sbagliano. Ma si è “dimenticato” di sollevare dall'incarico di Capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture, Ercole Incalza, amico del ministro Lupi che a febbraio scorso lo ha riconfermato per il 12° anno alla guida della cabina di regia governativa dove si decidono le gare d'appalto per le grandi opere. Incalza risulta indagato a Firenze per la vicenda del Tav, che coinvolge anche l’ex presidente dell’Umbria del PD, Rita Lorenzetti e inoltre è stato tirato in ballo nello scandalo della cricca degli appalti di Anemone per una vicenda analoga all'acquisto di una casa a Roma come quella di Scajola.
Altro che questione morale!
La verità è che il vertice del PD e il suo “nuovo modo di governare” è in tutto e per tutto omologato al regime neofascista e si basa esclusivamente sul clientelismo, l'affarismo, la corruzione e le tangenti tipico della vecchia DC e del vecchio PSI, poi trasmigrati nel sistema politico-mafioso berlusconiano dopo tangentopoli. Ricordiamo peraltro che il sindaco Orsoni era stato voluto da tutte le correnti del PD
e sponsorizzato dall'allora segretario Bersani e che l'attuale capogruppo dei senatori PD e vice-presidente del PD Luigi Zanda è stato chiamato in causa nell'inchiesta per aver ricoperto ininterrottamente la carica di presidente del famigerato Consorzio Venezia Nuova dal 1986 al 1995. E poi Renzi non ci venga a raccontare che costoro sono le scorie del vecchio apparato ereditato dal PCI revisionista, visto che Luigi Zanda non ricopre solo i massimi vertici del PD di oggi ma è un ex democristiano come lui, ed è nato politicamente come segretario-portavoce del picconatore Cossiga al ministero dell'Interno nel 1976-78.
Nei pochissimi casi in cui il PD risulta che abbia rubato meno degli altri partiti è perché aveva meno potere e di conseguenza meno pretese sul fronte tangentizio. Mentre là dove ha le mani in pasta da molto più tempo, come ad esempio Milano e Venezia, il PD sguazza nella mangiatoia delle tangenti esattamente come tutte le altre cosche parlamentari.
Dopo l'Expo si è ora aggiunto lo scandalo del Mose, che lo supera per entità e durata delle tangenti e per ampiezza degli indagati, che vanno dagli alti papaveri dei partiti di regime ai vertici delle istituzioni, dagli imprenditori e i più potenti gruppi economici ai magistrati e ai più alti gradi della Guardia di finanza. Non si tratta di isolare poche mele marce perché la corruzione è tutt'uno con le fondamenta del capitalismo, dei suoi governi, istituzioni e partiti. Non è l'eccezione ma la regola di questo marcio regime naofascista.

11 giugno 2014